Malammore

Per scomparire e rinascere da capo scrivemmo sui vetri. Affidammo le parole alle costellazioni di terra. Scegliemmo il suolo, per non perderlo di vista, ma le stelle non venivano giù. Sotto di noi il firmamento era composto dalle città distese, così decidemmo di sparire, di cambiare colore e sentieri, per dire altro della rabbia e trasformarla. Per non sentire il dolore.

Per effetto del tempo trascorso, scoprimmo che si cancellava l’odore. Le tracce di lunghi percorsi, le righe nella sabbia, le orme: non rimaneva niente o quasi. Solo gli affetti si tenevano altrove, resistevano ai venti e alla nuova vita. Cancellammo la nostalgia.

Non c’è una vita sola, per nessuno.

Facciamo il male perché siamo cattivi.

Ma cattivo vuol dire prigioniero.   

Non esiste il genere di una storia. Per raccontarci è tutto ultracinetico di monologhi e stanze e sale da ballo, di deserti e chirurgia, di saloni di letti d’oro, parole come lenzuola. La soluzione e la risposta sono niente. Immaginiamo questa storia in Italia. I personaggi sono donne di mafie. dicono scandali e bombe e veleni. Fanno una danza, una tammorriata, una pizzica o un’orchestra di strada. Ci sono i colpi di strumento forti. Ci sono i morti. I giudici esplosi e gli statisti, la gente uccisa a caso nelle stragi e i rapimenti, e i colpevoli e i vigliacchi e i fascisti.

Scrivete i nomi sui pezzi di carta

Poi fate un fuoco

Bruciate

Che tutto inizia e finisce nel fuoco.

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Emilia Perez/ Jacques Audiard/ Film- 2024